Houses stories - Storie di case

1

E’ uno strano fascino quello che si prova vedendo una casa rivoltata come un calzino. Come in una casa di bambola il dentro diventa fuori e lo spazio privato pubblico. Succede quando le persone si siedono fuori dalla porta di casa a prendere il fresco, o sul terrazzo, in mezzo allo spazio improvvisato dei teli del mare distesi sulla ringhiera.
Succede quando demoliscono una fetta di edificio che faceva parte di una cortina edilizia e rimangono le piastrelle a fiorellini a suggerire che lì c’era una cucina e al piano di sotto forse la camera di un ragazzino (era bello a quel tempo raccogliere gli adesivi).
Così lasciare che l’occhio indaghi tra le cose di famiglia è ugualmente affascinante. Qui c’è in più un fascino quasi “archeologico”, di sedimentazione e di principi di storie che ogni oggetto può suggerire.


2

Se un domani la terra ricoprirà le nostre case c’è la possibilità concreta che gli archeologi abbiano una seria difficoltà nel rintracciare  l’uso di ogni singolo strumento della cucina. Poni poi che non esista più l’elettricità come noi la conosciamo. Tutti questi marchingegni potrebbero rimanere muti, incapaci di rivelare il loro funzionamento.
Come in un moderno cantiere edile, ormai sventrato e libero da suppellettili, rimarranno solo i tubi a delineare con chiarezza tracciati e sotterranei collegamenti.
La vita segreta delle case sarà infine svelata e così le viscere delle città e delle strade.
Forse è questo che preannunciano i gorgoglii dei tubi nel silenzio delle case. Sono loro i veri sovrani del nostro tempo moderno.


3
 
C’era una persona con cui ho lavorato, lui diceva sempre cose lievemente stupefacenti. Un giorno commentava il modo di camminare di una persona dicendo: “M. usa male il pavimento”.
Questa vita delle superfici che calpestiamo a dire il vero oggi è onorata più che mai dai milioni di fotografie che ritraggono i piedi (generalmente bei piedi in belle scarpe) sui pavimenti più incredibili che costruttori o architetti o decoratori abbiano potuto immaginare.
Gli empedrados spagnoli o i cubetti portoghesi, i mosaici antichi e i sagrati con le liste di pietra d’Istria disegnano veri e propri tappeti preziosi i cui solchi ed avvallamenti costringono a rallentare il passo, forse anche in forma di soggezione rispetto alla storia.
Ma è il pavimento in cotto a restare speciale.
Sarà un’atavica memoria dell’argilla dei pavimenti in terra battuta di una volta. O per il suo colore caldo ed i suoi disegni geometrici. O perché il mattone  e la pianella sono così terribilmente umani in quanto misurabili, componibili e assemblabili come in un Lego per bambini grandi.
Se ancora non fosse stato percepito, sul pavimento in cotto risuona un tam tam , un’eco lontana. Si astengano i refrattari alla storia.




4

Ci sono le case minimaliste e le case mobili. O le case di chi ha traslocato abbastanza per aver voglia di non avere attorno alcunché.
Poi ci sono quelle altre case, quelle che contengono un comò che ha un cassetto e dentro il cassetto ci sono fogli di carta, quelli che potrebbero essere gettati ma che hanno ancora un lato pulito, tutto da scrivere. Ci sono le penne e in mezzo ad esse c’è un pezzo di candela.
Non sia mai che una sera di queste ci ritroviamo tutti intorno al tavolo e andando via la luce volessimo giocare a quel gioco di nomi di città, animali, mestieri e marche di automobili. Quel gioco in cui si tira a sorte una lettera e poi appena uno ha rintracciato il fatidico animale che comincia per N si mette immediatamente a fare il conto alla rovescia.
In quel caso, abbiamo tutto quel che serve.




5

Sta certamente nell’abilità del pittore se i quadri alle pareti con le loro belle cornici modanate possono essere delle finestre aperte sul mondo. Grazie alle regole prospettiche possiamo godere di uno spazio aperto, sfondato sull’immaginazione, un quadro a fianco dell’altro, possiamo saziare l’occhio e almeno temporaneamente le curiosità del mondo.
Appena sotto, in appositi scaffali dedicati allo scopo, ci sono altre finestre che si richiudono su loro stesse e che consentono altri viaggi fantastici, i libri.


6

Chissà se Giorgio Morandi immaginasse le sue composizioni come modelli domestici di piccoli pezzi di città, cupole e pinnacoli battisteri e silos o grattacieli di una Manhattan improvvisata sull’Appennino bolognese, come un gioco di volumi alla luce velata dell’Emilia.
Ora questi vasi assiepati sullo scaffale appaiono come una città fantastica, la torre di Lucca con il suo pino solitario o i giardini pensili di Babilonia, capigliature verdi di costruzioni appartenenti al mito, ziggurat rovesciati, tronchi di piramide sui quali le farfalle di un’Oxalis sembrano volare.



7

Ricordo ancora quel sapore dell’acqua, aveva un leggero sentore di trucioli di legno.
Era l’acqua che la nonna aveva versato in una caraffa dalla fonte in cortile (in terra di risorgiva l’acqua si offriva spontaneamente dalla fontana ed ancora oggi si offre anche se con meno abbondanza) e metteva temporaneamente all’interno della credenza dove era stipato anche il pane, sempre nello stesso sacchetto di tela che era dedicato solo al contenere il pane nuovo ed il pane vecchio. Quando ci fermavamo a cena avevamo un tavolino per noi bambini, un tavolino pieghevole, e sempre prendevamo una tazza di latte con il pane vecchio tagliato in grosse pepite, un pane friabile che si spezzava facilmente.
C’era poi, oltre alla credenza dove alloggiava una bella bilancia con tutte le gradazioni di peso e che naturalmente spostavamo in continuazione essendo troppo attraenti i pezzetti e i fori dove ciascuno trovava il suo posto, c’era una cassettiera speciale nella stanza per ricevere gli ospiti.
Il primo cassetto era pieno zeppo di scatole di latta e occorreva aprirle una per una per capire il tipo di biscotti o caramelle che vi erano contenuti. Erano i dolci per gli ospiti e si poteva sperare di accedervi solo se qualcuno fosse venuto in visita o in momenti determinati della giornata. Un pomeriggio il nonno mi colse in flagrante curva sul cassetto aperto. Mi guardò con sguardo severo e non mi disse nulla. E’ proprio vero che certi sguardi pesano più delle parole.


8

Tra bambini ed animali pare vi  sia un riconoscimento reciproco, alcuni istinti, dei modi di muoversi ed agire, una simpatia vicendevole non per tutti uguale ma esistente, palpabile.
Forse è per quell’affinità di animaletto se un giorno mia mamma facendo le pulizie sotto il comò ha trovato un sassolino di strana consistenza.
Così è stato presto svelato il mio nascondiglio (ecco l’utilità dello scavare a cui non avevo pensato) per un piccolo tesoro che sarebbe potuto tornare utile in tempi di magra.
Era un sederino di salame il mio piccolo osso che ogni tanto fa capolino nei racconti, tesoretto perduto.



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