Non è proprio che non ci siano città e
metropoli dove trovare tipi particolari.
È che Amsterdam con la sua dimensione domestica te li mette proprio sotto il naso, ad una distanza raggiungibile, a tu per tu.
È che Amsterdam con la sua dimensione domestica te li mette proprio sotto il naso, ad una distanza raggiungibile, a tu per tu.
Così capita di ritrovarsi
inavvertitamente davanti ad un’esibizione di body art nel bel mezzo di una
piazza davanti al Concertgebouw o di stare in fila per entrare al Rijk museum e
vederti sfrecciare accanto un uomo palestrato con canotta e cuffia da bagno da
film anni ’30 in bianco e nero e tanga che mettono in risalto le rotondità
muscolose.
Capita anche che i camerieri stranieri
adottati dalla città ti propongano di mangiare quel che è caduto dal piatto e
si premuniscano di rimettertelo a fianco del cibo pulito. O che in un
ristorante asiatico pretendano di farti aspettare un tavolo alla porta anche se
praticamente quasi tutti i tavoli erano liberi. Forse speravano una comitiva,
non si è capito.
Capita che ci si ritrovi in mezzo ad un gay pride che però sembra il set di un film inglese a cui mancano solo i cappellini bizzarri.
Intrufolarsi all’inaugurazione di una mostra in una galleria d’arte di Jordaan regala invece “solo” una meravigliosa palette di colori sgargianti dei visitatori con aria compresa che chiacchierano attorno alle opere. Manca solamente l’arancione,troppo banale forse vestirsi con il colore della bandiera.
Capita che ci si ritrovi in mezzo ad un gay pride che però sembra il set di un film inglese a cui mancano solo i cappellini bizzarri.
Intrufolarsi all’inaugurazione di una mostra in una galleria d’arte di Jordaan regala invece “solo” una meravigliosa palette di colori sgargianti dei visitatori con aria compresa che chiacchierano attorno alle opere. Manca solamente l’arancione,troppo banale forse vestirsi con il colore della bandiera.
Conformarsi alla città sembra suggerire
l’adozione di un proprio stile ed essere un fumetto o un supereroe o semplicemente
un tipo pronto ad interpretare la propria parte.
Il cameriere “fronte del porto” che
quasi a fine turno tira un po’ via e poi davvero se la fila via con la bici più
grande di lui e le cuffie giganti alle orecchie. O il receptionist di secondo lavoro
deejay che vorrebbe tanto farsi un riposino tra un lavoro e l’altro ma che noi
costringiamo ripetutamente ad interrompere. Ma poi sul più bello ci offre i
toast che ci ha preparato stupendoci con un gesto di simpatia inaspettata.
Sabato sera via dalla pazza folla mangiando un toast in tutta tranquillità.
Venerdì sera invece, vista la fantastica luminosità nordica che si attarda ad oltranza, ci fermiamo a disegnare sedute su una panchina all’incrocio dell’Amstel con Sarphatikade. Sembrerebbe un posto tranquillo, dalla bellezza struggente di una metropoli di Hopper con i semafori, il ponte in cemento armato e i pali a strisce bianche e nere; non il solito scorcio pittoresco.
Invece poco più tardi i canali si
animano di vita, motoscafi si incrociano in un andirivieni continuo,
stracarichi di ragazzi e ragazze che ballano e ridono a suon di musica a tutto
volume. Qualcuno addirittura si fa trascinare seduto su un gommoncino al traino
con le gambe a mollo in acqua.
Il tutto ci mette straordinaria
allegria ma del resto è come quando vediamo i proprietari delle case
galleggianti parcheggiare le bici ed entrare in casa.
È la dimensione domestica della città che mette a proprio agio. Si potrebbe dire a misura d’uomo se poi porte e finestre di dimensioni assolutamente sproporzionate, o ragazzoni in giro cresciuti a dismisura non ci dessero l’impressione di essere diventati lillipuziani, una casa di bambola al contrario.
È la dimensione domestica della città che mette a proprio agio. Si potrebbe dire a misura d’uomo se poi porte e finestre di dimensioni assolutamente sproporzionate, o ragazzoni in giro cresciuti a dismisura non ci dessero l’impressione di essere diventati lillipuziani, una casa di bambola al contrario.
Per il resto, tutte le cose di ogni
giorno qui sembrano ben pensate, belle, funzionali, frutto di un design
accorto, che si accorge delle esigenze quotidiane o del viaggiare. Gli ingressi
ai treni direttamente dalla hall dell’aeroporto, l’autobus accessibile con la
carta di credito, gli spazi dell’hotel dell’aeroporto ridotti all’essenziale ma
divertenti, capaci di trasformare un momento di passaggio in un’esperienza ricca
di suggestioni anche se totalmente diverse da quelle che normalmente
contraddistinguono il benessere ricettivo, dell’ospitalità.
Per contrasto sono invece le cose
“importanti” ad essere ridotte a fatti prosaici. È sorprendente che Anna Frank
e Vincent Van Gogh vengano sminuiti a marchi di fabbrica o meglio a macchine
commerciali (i tulipani poi se non è stagione sono venduti anche finti).
A proposito di Van Gogh: è meraviglioso
lo spazio aperto che accoglie il museo, quasi a dargli il giusto risalto, una
pausa, una sospensione. Per gli olandesi poi per i quali lo spazio è conquistato
duramente.
Fa uno strano effetto che in vita colui
che ha venduto un solo quadro gli sia ora steso un tappeto verde sotto i piedi.
Questo, più dei girasoli sugli ombrelli è forse il più bel tributo che la città
gli ha riservato insieme alle aiuole che celebrano i colori complementari che
tanto Van Gogh ha amato: tagete e agerati, nasturzi e fiordalisi. La pittura
può segnare una via, un modo di guardare.
Cosa deve essere per gli urban
sketchers volati qui da oltre oceano questa città di fiaba. Sarei proprio
curiosa di saperlo.
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