A visit to the Querini Stampalia foundation in Venice is a dip in time, the ancient one that dates back to the splendor of the 1700s and a more recent one of the interiors and ground floor garden arranged by Carlo Scarpa. The first is a slow time, with lazy habits. The masks that for women had a button to hold in the mouth so as not to speak in public. The female portraits given to men to choose their brides, the company of the so-called cicisbei for the wives secluded in the house. But also perhaps the inevitable gossip exchanged between servants who had to climb two floors of stairs to serve lunch and dinner on the main floor. A historical cross-section that is by no means enviable due to the rigidity of the signed protocols. In the Foundation's time machine it is best to stop at the garden where Carlo Scarpa's skilful and sensitive planning is accompanied by the skilled post-war craftsmen to create a quiet space for pause. Scarpa's spaces seem to hook the photographic shot in defined points where the horizontal lines, vertical lines and visual rays are composed together in perfect harmony: the gaze is guided, magnetized towards the fulcrum of the composition. There is an oriental influence which is not at all out of place in Venice.
Stepping out into the crowd again is a bit dizzying by contrast. It is perhaps the most fascinating feature of Venice. The external space of calli and campi is as intimate as the internal space. The spaces of Venice are like an inside out shirt.
La visita alla fondazione Querini Stampalia di Venezia è un tuffo nel tempo, quello antico che risale ai fasti del 1700 ed uno più recente degli interni e nel giardino di piano terra sistemati da Carlo Scarpa. Il primo è un tempo fin troppo lento, di pigri costumi. Le maschere che per le donne avevano un bottone da tenere in bocca per non parlare in pubblico. I ritratti femminili donati agli uomini per scegliere le loro spose, la compagnia dei cosidetti cicisbei per le mogli recluse in casa. Ma anche forse gli inevitabili pettegolezzi scambiati tra servitori che dovevano salire due piani di scale per servire pranzo e cena al piano nobile. Uno spaccato storico per nulla invidiabile per la rigidità dei protocolli formali. Nella macchina del tempo della Fondazione è meglio fermarsi al giardino dove la progettazione sapiente e sensibile di Carlo Scarpa si accompagna alle abili mani artigiane del dopoguerra per realizzare uno spazio quieto, di pausa. Gli spazi di Scarpa sembrano agganciare la ripresa fotografica in punti definiti dove le linee orizzontali, le linee verticali e i raggi visivi si compongono insieme in perfetta armonia: lo sguardo è guidato, calamitato verso i fulcri della composizione. Si sente un'influenza d'Oriente che non stona affatto a Venezia.
Uscire di nuovo nella folla stordisce un po' per contrasto. È la caratteristica che affascina forse di più di Venezia. Lo spazio esterno di calli e campi è intimo quanto lo spazio interno. Gli spazi di Venezia sono come una camicia rovesciata.
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